L’impegno della MIA in campo assistenziale continuò anche in epoca moderna, quando la miseria assunse sempre più i caratteri della mendicità. Durante le annate di carestia o pestilenza – si pensi a quella, tristemente celebre, del 1630 – la Misericordia Maggiore si schierò sempre senza indugi al fiano del Comune e degli altri enti benefici bergamaschi per offrire soccorso alla popolazione, arrivando persino a ipotecare o vendere le proprie sostanze, e garantire così l’ordine e la stabilità sociale.
In tempi più recenti la MIA continua a operare in campo sociale, rivolgendo la propria azione soprattutto verso le nuove forme di povertà ed emarginazione.
Ogni anno la Misericordia Maggiore provvede a stanziare fondi del proprio bilancio per l’assistenza di bisognosi. Scrive don Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII°, nel suo prezioso studio del 1912 sulla Misericordia Maggiore: “i compiti ed i bisogni a cui provvede rimangono oggi come furono nel passato, benché talora vi si provveda sotto forme nuove più convenienti alle nuove circostanze”.
La Misericordia Maggiore ha declinato, nel corso della storia, con modalità differenti e attenzioni specifiche il proprio compito statutario di assistenza e beneficenza ai più bisognosi.Una rapida scorsa alla documentazione storica depositata negli archivi evidenzia la costante vitalità e il desiderio di rispondere con prontezza ed efficiacia alle sfide di ciascun tempo: si prevedeva infatti che "potrà nondimeno il consiglio deliberare che si distribuiscano tra i signori presidenti alcuni bollettini di pane, farina, legumi, sale e cose simili".