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Assistenza

Gli interventi assistenziali della MIA

“Malati, vedove e orfani, ma anche religioso e donne da marito, carcerati e ‘poveri vergognosi’, come si definivano quei nobili che i rovesci della fortuna avevano gettato sul lastrico. Era verso costoro che la MIA, sin dalla sua fondazione, indirizzava le proprie energie e il proprio sostegno. E lo faceva con una grande novità rispetto al passato: non erano più i bisognosi a dover raggiungere i tradizionali luoghi dell’assistenza (ospedali, orfanatrofi, lebbrosari), ma era la MIA ad andare loro incontro. Una carità “dinamica” che si basava sulla collaborazione di centinaia di volontari, che si fecero materialmente carico di censire regolarmente i poveri della città e del suburbio e di distribuire loro “porta a porta” elemosine in denaro e generi di prima necessità (pane, sale e vino).
«Se la Misericordia fosse nata a soddisfare in modo tassativo a bisogni espressi e limitati sarebbe stata una istituzione transitoria: ma chi voglia coglierne lo spirito nello statuto e nella storia deve concludere che la nostra Misericordia come non è perita così non perirà, poiché contiene gli elementi di un'azione perenne e universale. Vigilante sempre e attenta a qualunque bisogno, si mosse in ogni tempo senza temere la protesta di chi diceva: ciò è nuovo! Essa seguì sempre due vie: curare il dolore, e prevenirlo offrendo mezzi potenti di vita, soprattutto l'istruzione. Sopra le vie che la Misericordia veniva aprendo o si pose in seguito la legge o accorsero pubbliche istituzioni piantando con speciali opportuni provvedimenti le pietre miliari del civile progresso: allora la Misericordia andò in cerca di nuovi bisogni, vera precorritrice instancabile di conquiste, trovando sopra il suo cammino il segreto di una vita perenne.»

G. LOCATELLI, L'Istruzione in Bergamo e la Misericordia Maggiore
in Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo,an. IV, n. 4, an. V, n. 1-2, p. 169.
L’impegno della MIA in campo assistenziale continuò anche in epoca moderna, quando la miseria assunse sempre più i caratteri della mendicità. Durante le annate di carestia o pestilenza – si pensi a quella, tristemente celebre, del 1630 – la Misericordia Maggiore si schierò sempre senza indugi al fiano del Comune e degli altri enti benefici bergamaschi per offrire soccorso alla popolazione, arrivando persino a ipotecare o vendere le proprie sostanze, e garantire così l’ordine e la stabilità sociale.
In tempi più recenti la MIA continua a operare in campo sociale, rivolgendo la propria azione soprattutto verso le nuove forme di povertà ed emarginazione.
Ogni anno la Misericordia Maggiore provvede a stanziare fondi del proprio bilancio per l’assistenza di bisognosi. Scrive don Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII°, nel suo prezioso studio del 1912 sulla Misericordia Maggiore: “i compiti ed i bisogni a cui provvede rimangono oggi come furono nel passato, benché talora vi si provveda sotto forme nuove più convenienti alle nuove circostanze”.
La Misericordia Maggiore ha declinato, nel corso della storia, con modalità differenti e attenzioni specifiche il proprio compito statutario di assistenza e beneficenza ai più bisognosi.Una rapida scorsa alla documentazione storica depositata negli archivi evidenzia la costante vitalità e il desiderio di rispondere con prontezza ed efficiacia alle sfide di ciascun tempo: si prevedeva infatti che "potrà nondimeno il consiglio deliberare che si distribuiscano tra i signori presidenti alcuni bollettini di pane, farina, legumi, sale e cose simili".