La comunità vallombrosana di Astino, dall’ineccepibile moralità e dall’azione positiva sul territorio, intrecciò fecondi rapporti con gli ecclesiastici lombardi: frequentarono Astino e vollero essere sepolti nella chiesa del S. Sepolcro i vescovi di Bergamo Gregorio (1146) e Algisio da Rosciate (1267), e il vescovo di Brescia Guala de’ Roniis (1244), che fu poi beatificato perché destinatario di una forte devozione popolare.
La chiesa fu ampliata con la costruzione della Cappella del S. Sepolcro nel 1500 ad opera dell’abate Silvestro de’ Benedictis: nella cappella, posta vicino all’ingresso della chiesa e accessibile ai fedeli e ai pellegrini, fu rappresentato il Compianto su Cristo morto attraverso un gruppo statuario, oggi perduto. Dal 1540 circa fino alla fine del secolo la chiesa fu ristrutturata e rinnovata nelle decorazioni con cicli di affreschi eseguiti dai pittori Cristoforo Baschenis il Vecchio e Giovan Battista Guarinoni, oggi in parte recuperati grazie al recente restauro. Furono realizzati nuovi arredi e nuove strutture, quali la sagrestia, il campanile e l’attuale profondo presbiterio rispondente ai dettami del Concilio di Trento. Gli aggiornamenti decorativi e le migliorie continuarono nel corso del Seicento con la commissione della pala di San Giovanni Gualberto, fondatore dell’Ordine, al fiorentino Domenico Cresti detto il Passignano e con il rinnovamento di cappelle e decori. All’inizio del XVIII secolo la necessità di un adeguamento al vigente gusto tardo-barocco nella decorazione degli interni portò alla commissione di altri affreschi, elaborati stucchi e tele ad opera di vari artisti, quali Giuseppe Brina, Bernardo Sanz, Antonio Cifrondi e Andrea Pelli.
Con la seconda metà del secolo inizia il declino dell’Ordine fino alla soppressione napoleonica nel 1797 che sancì la fine dell’utilizzo monastico dell’edificio. La chiesa divenne sussidiaria dell’Ospedale Maggiore nel periodo in cui, dal 1832 al 1892, il complesso fu trasformato in manicomio. Successivamente fu chiesa sussidiaria della parrocchia di Longuelo, ma la vendita della chiesa e del monastero a privati nel 1923 ne limitò fortemente la pubblica fruizione favorendone l’abbandono e il degrado, denunciato più volte dall’opinione pubblica e dalla Soprintendenza ma continuato di fatto fino ai giorni nostri.